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NO1 Imbarcato in tenera età su un cargo battente bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti contatti con numerose popolazioni indigene legate alle tradizioni, una smodata passione per l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming, in particolare se targato Sega...

Nintendo Super NES
Equinox
Sony | Software Creations | Alan Smithee | John Pickford | Ste Pickford | Mike Webb | Kevin Edwards | Stephen Ruddy
24 08 2014

Piazzato a metà strada tra la severità di Brain Lord (sempre su Super Nintendo) e l'immediatezza di un classico come Landstalker (Mega Drive), Equinox è stato allo stesso tempo bellamente ignorato dal pubblico di massa e apprezzato oltre ogni limite plausibile dalla nicchia degli ultra informati. Appartenente di diritto all'ondata di giochi che rinnegavano la piattezza dei platform a favore di un qualcosa che ancora non poteva essere realizzato in pieno, causa limiti tecnici delle console a 16 bit, il gioco Sony faceva di tutto per anticipare la rivoluzione delle avventure tridimensionali di PlayStation e Saturn. Ma, come spesso succede con i primi tentativi, non è che ci sia riuscito del tutto.

A dire la verità, poi, non è che si possa parlare di primissima botta, dato che il tema di Equinox era stato già anticipato dal predecessore Solstice addirittura ai tempi del vecchio NES. Come nel predecessore anche qui la tematica 'role playing game' viene solo accennata: i due danno infatti la sensazione di essere giochi di ruolo senza esserlo davvero, tanto più che qui viene esclusa una qualsiasi trama, se non come scusa iniziale. In parte platform isometrico, in parte arcade adventure, un po' puzzler d'azione, Equinox potrebbe invece essere descritto come un mix dei tre generi. Questo non significa che il suo gameplay risulti meno profondo del dovuto: basta considerare il peso degli interventi dedicati al titolo Sony dai siti specializzati presenti in rete. Tra soluzioni di enigmi particolarmente oscuri e avvisi vari, i 'walkthrough' di Equinox raggiungono infatti una lunghezza e una complessità biblica, alla faccia dei soli otto dungeon in cui ha luogo l'avventura del nostro Glendaal. Anche perché la difficoltà oggettiva, già elevata, lo diventa ancora di più sia a causa di un controllo dei movimenti a tratti cervellotico, sia per i già accennati limiti tecnici del Super Nintendo.

Già l'inquadratura isometrica, di tre quarti dall'alto, dà di per sé i soliti problemi di individuazione degli ostacoli, ma Equinox lavora anche molto per conto suo, in tal senso. La rotazione della visuale, decisiva in un ambito così complesso, è infatti possibile solo in poche circostanze di contorno, mentre le cose vengono peggiorate da una rilevazione dei contatti tra protagonista ed elementi scenografici che non si può definire semplicissima da comprendere (non è che sia imprecisa, è che segue coerentemente una logica tutta sua). Tenendo conto che il novantanove per cento del gioco consiste in spostamenti di blocchi, leve e oggettistica varia, accoppiati con salti millimetrici e fughe impossibili tra avversari e trappole, si capisce che la minima esitazione può risultare fatale: e qui, prima di prendere le misure ai movimenti, le esitazioni rappresentano invece la regola e non l'eccezione. Così, tra ambienti metafisici e affascinanti, realizzati al limite delle potenzialità conosciute del Super NES (ai suoi tempi: Equinox è del 1993, anche se il mercato europeo ha dovuto aspettare sino all'anno successivo per una conversione PAL) ed enigmi sempre intriganti, il conflitto tra occhi, cervello e sedere raggiunge vertici da record.

Perché, oltre a buoni riflessi e costante capacità deduttiva, Equinox può richiedere dosi massicce di pazienza e una certa resistenza fisica alle lunghe sedute. Parlare di durata di gioco è infatti anche più difficile del solito, in questo caso: a seconda del giocatore si può andare da qualche giorno a qualche anno, se non si vuole ricorrere ai già citati siti di soluzioni online. La verità è che Equinox si è per molti trasformato nel tipico gioco che viene abbandonato e ripreso più volte nel corso del tempo: il che non è necessariamente un male, anzi, e di sicuro sta a testimoniare una qualità di base inossidabile o quasi. Probabilmente gli sviluppatori (Alan Smithee nel ruolo di direttore, Ryouji Akagawa e Allan Becker come produttori, Tim e Geoff Follin alla creazione della colonna sonora, ambient e di un certo peso, dato che stranamente tutto il progetto riconduceva alla supervisione di Sony Music) volevano proprio questo. Creare un classico fuori dal tempo, fregandosene delle mode.

[NO1]


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