Dopo aver fondato A.Rea. 21 insieme a NO1 e
LH3CT, Shrapnel ha svolto il lavoro di mantenimento
del sito fino alla chiusura dello stesso e ne ha poi
curato la riapertura. Ha scritto su Super Console, Mega
Console, Videogiochi e PSM, ha gestito per due anni e
mezzo un negozio di videogiochi e ha lavorato come
game designer e sceneggiatore su uno sparatutto per PC
intitolato Steel Saviour. Ha inoltre scritto per un paio
di riviste cartacee dedicate agli utenti iOS e macOS.
Amstrad CPC
Avenger
Gremlin
04 10 2005
Correva l'anno 1986, l'onda lunga del successo di Gauntlet non accennava ad esaurirsi e, di conseguenza, qualsiasi gioco caratterizzato dall'adozione di una visuale a volo d'uccello veniva bollato, per l'appunto, come un clone di Gauntlet, senza possibilità d'appello. Ma questo non era il caso di Avenger. E la critica specializzata, solitamente attivissima nel condannare le copie più o meno riuscite del suddetto Gauntlet, se ne accorse ben presto, coprendo di lodi e di premi l'avventura di Gremlin Graphics e promuovendone alacremente la diffusione. Avenger, del resto, aveva in comune con Gauntlet unicamente la visuale: l'ambientazione, che vedeva un ninja impegnato nella ricerca di alcune pergamene rubate, era completamente diversa, e le meccaniche di gioco erano decisamente più articolate e sofisticate.
Vestendo i panni del ninja di cui sopra, infatti, il giocatore era sì chiamato ad affrontare i mostri che affollavano la fortezza in cui si nascondevano i tre autori del furto delle pergamene sacre, ma doveva anche interpretare i criptici indizi inviatigli dal dio Kwon (ovvero il legittimo proprietario delle cartapecore in questione), dosare l'uso degli shuriken per non ritrovarsi obbligato ad aprirsi la strada lottando a mani nude, evitare le trappole disseminate un po' ovunque dai suoi acerrimi avversari e, soprattutto, utilizzare in maniera ragionata le chiavi reperibili in giro per il labirinto. Tali chiavi, infatti, andavano spesso raccolte ed utilizzate in un ordine ben preciso, da comprendere tramite il ricorso alle meningi e al classico trial & error, il che poteva anche risultare frustrante, bisogna ammetterlo, ma mai abbastanza da spingere all'abbandono del gioco. Questo perché Avenger riusciva a catturare l'utente in modo irreversibile, proponendogli una sfida costante, un labirinto composto da circa 300 schermate, nuove sorprese dietro ogni angolo, oggetti da utilizzare al momento giusto e nel posto giusto, mostri sempre più cattivi e raccapriccianti e un set di controlli sufficientemente reattivi, anche se un pelo imprecisi in fase di apertura e attraversamento delle porte. E poi c'erano i colori accesissimi, la grande varietà delle ambientazioni, le buone animazioni (il personaggio principale prendeva addirittura l'iniziativa se lasciato immobile, guardandosi intorno con circospezione), il bel tema musicale suonato sulla schermata iniziale e gli effetti sonori che accompagnavano efficacemente l'azione. C'era, insomma, un gioco eccellente, ancora oggi in grado di dimostrare che persino da una struttura trita e ritrita può nascere una piccola gemma, a modo suo molto originale. Basta un po' d'impegno, no?
[Shrapnel]