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NO1 Imbarcato in tenera età su un cargo battente bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti contatti con numerose popolazioni indigene legate alle tradizioni, una smodata passione per l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming, in particolare se targato Sega...

Sega Mega Drive
David Robinson's Supreme Court
Sega | ACME Interactive
17 09 2012

A dirla tutta David Robinson mi è sempre stato un po' sulle balle, non solo nel senso del giocatore, ma anche in quello del videogioco per Mega Drive. Sarà che sono i San Antonio Spurs a non andarmi giù come squadra o sarà che la casa madre Sega non ci ha mai preso quando si trattava di basket, salvo rare eccezioni, ma il qui presente David Robinson's Supreme Court (Sega via ACME Interactive, 1992) per me è sempre stato una seconda scelta rispetto agli analoghi tentativi di Electronic Arts.

Il discorso si potrebbe allargare ad altre simulazioni sportive edite da Sega in quei lontani anni, come il più famoso Joe Montana Football (di cui, curiosamente, veniva regalato un poster con ogni copia di David Robinson's Supreme Court). Il fatto è abbastanza interessante, perché i difetti dell'uno corrispondono a quelli dell'altro e questo finisce per evidenziarli ancora di più. Ad esempio in tutti e due i giochi manca un riferimento alle autentiche squadre di lega NBA o NFL: coincidenza facilmente spiegabile con la solita taccagneria organizzativa di casa Sega. Inoltre: i meccanismi di gioco di tutti e due i titoli divergono da quelli comunemente adottati, con in più qualche gradevole variante (qui i vari tipi di schiacciate, per dire) che non riesce però a compensare la natura limitata della simulazione. Per finire, in tutti e due i casi i programmatori hanno optato per qualche trovata di grande effetto, come il commento audio di Joe Montana 2 o l'inquadratura isometrica utilizzata in questa occasione - fatto ancora raro prima che i tipi di Electronic Arts sdoganassero questo tipo di ripresa nei giochi sportivi.

L'originalità dell'inquadratura si spinge anche oltre, con una rotazione di 180 gradi che viene prodotta ogni volta che viene oltrepassata la metà campo: l'idea sarebbe di per sé buona, perché consente di mantenere sempre un angolo di visuale ottimale, ma in realtà il tutto risulta abbastanza forzato se non addirittura fastidioso agli occhi dei più. Alla fine, tra quattro squadre in croce e giocatori di pura fantasia (con nomi storpiati e loghi inventati), una ispirazione decisamente arcade che sarà pure piacevole ma rende le azioni tutte uguali, una grafica dettagliata ma non da urlo, una presentazione raffazzonata e un audio che di certo non fa la differenza, di vere ragioni per scegliere David Robinson's Supreme Court nel mare dei giochi di basket non ce ne erano e non ce ne sono poi molte, salvo improvvise simpatie. Che possono riguardare: la possibilità di giocare in tre contro tre, la voglia di provare qualcosa di alternativo, quella di non farsi venire il mal di testa a furia di non produrre un gioco efficace o quella di ritrovarsi con un ritmo più elevato rispetto a quello proverbialmente lento di Lakers versus Celtics e dei suoi derivati. Non che si possa parlare di vero disastro, insomma, ma anche a causa di qualche incertezza nelle traiettorie della palla e nei marcamenti, davvero non si può nemmeno parlare di scelta obbligata.

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