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NO1 Imbarcato in tenera età su un cargo battente bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti contatti con numerose popolazioni indigene legate alle tradizioni, una smodata passione per l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming, in particolare se targato Sega...

Sega Mega CD
Snatcher
Konami | Hideo Kojima
01 07 2012

A un certo punto i maghi del marketing Sega avevano deciso che il Mega CD, simpatico aggeggio che trasformava il Mega Drive in qualcosa di tecnicamente più plausibile, doveva orientarsi proprio per questo verso un pubblico più adulto. E non solo nel natio Sol Levante, da sempre ben servito da una pletora di giochi di ruolo e avventure grafiche di buon livello, ma anche e soprattutto nel mercato occidentale, desolatamente a corto di conversioni tradotte dal giap. E vai quindi con una bella infornata di giochi basati su spezzoni di full motion video, come se la ripetizione di scene filmate bastasse di per sé a costruire qualcosa più profondo o significativo. Naturalmente non era così, ma il Mega CD, in qualche modo, la sua brava reputazione di console potenzialmente matura riuscì a costruirsela. Solo che per superare la fase di potenzialità ci voleva qualcosa di più concreto, e ottenerlo pescando in casa Sega equivaleva a un miracolo. Per parziale fortuna il miracolo arrivò lo stesso: con colpevole ritardo, come è ovvio, e per di più sotto forma di trapianto.

Snatcher in effetti era stato lanciato qualche tempo prima su una console rivale, il NEC PC Engine, più sofisticata come hardware (nonostante una CPU a 8 bit) e come catalogo, ma terribilmente nipponica come riferimento. Snatcher ne andava a completare il piccolo plotone di giochi cult e lo faceva ricorrendo a dosi massicce di spunti cinematografici, senza farsi mancare nulla o molto poco anche in fatto di sesso e violenza: manco a farlo apposta poteva insomma rappresentare la quadratura per una Sega alla ricerca della fusione tra avventure grafiche e film e nel contingente smaniosa di allargare i propri orizzonti verso una clientela meno adolescenziale. Il fatto che la storia alla base del gioco sia così articolata è tanto più sorprendente se si pensa che l'effettivo debutto era avvenuto qualche anno prima (alla fine del 1988) sul vecchio NEC PC-8801 a otto bit, dove girava su semplici floppy, e che solo in un secondo momento si era passati al più popolare MSX2 (dove non so come girava: io ne ho ancora uno che va a musicassette!). Il successo delle precedenti versioni convinse comunque Sega a trasportare l'ultima edizione per console, dotata di voci recitanti, miglioramento grafico netto, 'cut scene' e di un inedito terzo atto, sul Mega CD occidentale. Questa tarda trasposizione (Konami, 1994) resterà l'unica disponibile al di fuori del Giappone e, alla faccia delle limitazioni del 16 bit Sega, resterà pure la migliore in assoluto.

Lo status di leggenda che circonda Snatcher è dovuto in parte alla sua scarsa reperibilità (solo qualche migliaio di copie stampate dalle nostre parti, a causa di un successo certo non travolgente e della fine incombente del Mega CD: il che sta a dimostrare che nel caso del marketing Sega teoremi assoluti non esistono), ma soprattutto alla effettiva qualità del gioco. Già solo il suo pedigree, da brividi, basterebbe per collocarlo su un piano differente. Hideo Kojima, quando nel 1988 ne mise insieme la prima versione per il PC NEC, aveva solo venticinque anni ed era già un genio esplosivo. Appassionato di cinema, come quasi tutte le sue produzioni successive evidenzieranno, per Snatcher finì per ispirarsi alla fantascienza più raffinata, quella di Blade Runner e del vecchio L'Invasione degli Ultracorpi di Don Siegel. Impresa non da poco, ma il risultato finale, come dicevamo, è forse l'esempio meglio riuscito di ibrido tra cinema e videogioco, realizzato tra l'altro senza forzature cervellotiche. Come si faceva spesso ai tempi, soprattutto per il mercato PC, Kojima optò infatti per una avventura grafica: ma la linearità di questo schema, spesso condannato dalla sua lentezza, viene salvata dalla varietà delle situazioni, dalla trama noir, da menu esemplari e da una serie di trovate. Come quella di ricorrere al videofono e a una raccolta di documenti per raccogliere informazioni, o addirittura quella di utilizzare la vecchia pistola Konami (il Justifier: il revolver laser in plastica rosa!) già inserita nella confezione di Lethal Enforcers, shooter lanciato su Mega Drive qualche tempo prima. Non che ogni giocatore dovesse avere in dotazione un revolver rosa, o che preso da slancio riuscisse a procurarsene uno nuovo, pagando anche cifre discrete, ma almeno questa era una opzione possibile (non obbligatoria, appunto).

Il tutto scorre insomma molto più facilmente rispetto agli standard di questo particolare filone e la trama, tra teste mozzate, tradimenti, perdite di memoria, cadaveri in decomposizione, enigmi da risolvere, vite coniugali da ricostruire, citazioni da Metal Gear, investigazioni, sparatorie e donne pericolose viene esposta altrettanto rapidamente (anche troppo, perché come spesso accade ai giochi di Kojima il tempo di gioco effettivo non supera la dozzina di ore). L'atmosfera, coadiuvata da una colonna sonora al limite della perfezione, con un doppiaggio per una volta professionale, ma non aiutata da qualche taglio censorio a opera di Sega (spariti gli abiti più succinti da cui scivolava fuori qualche seno troppo grosso, scene 'gore' ancora più sanguinolente) viaggia tra il cyberpunk e Raymond Chandler, cosa che andava di gran moda in quegli anni. Dal punto di vista grafico la Neo Kobe dove il nostro eroe, Gillian Seed, va alla ricerca di esseri letali chiamati Snatcher, analoghi ai replicanti di Blade Runner e altrettanto indistinguibili dagli umani, non insegue un ideale cinematografico ma punta giustamente a un aspetto da cartoon, a metà strada tra la Gotham City di Miller e un anime giapponese. In realtà tutto Snatcher sembra un ottimo manga interattivo, in cui i dialoghi e l'esplorazione assumono il giusto rilievo, rappresentando in fondo il cuore del gioco, senza però bloccare il giocatore in situazioni impossibili o quasi. Opera massima, insomma, rimessa insieme da un team di peso (una trentina di responsabili, oltre a Kojima qui accreditato solo come ideatore: abbiamo tra gli altri i produttori Tomikazu Kirita, poi presente in Wild Arms e Shadow of the Colossus, e Yutaka Haruki, successivamente ritrovato in Ring of Red e Silent Scope), Snatcher resta anche in questo caso un momento magico, qualcosa da mostrare senza incertezze a chi considera i videogiochi solo un passatempo per teenager.

[NO1]


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