Sega Dreamcast
Crazy Taxi
Sega | Hitmaker | Kenji Kanno | Hisao Oguchi | Takashi Takenouchi | Masaaki Ito | Toshikazu Goi | Masataka Noda | Yoshimasa Hayashida | Jinichiro Okuda
05 05 2025

Crazy Taxi tentava di mettere insieme la sensazione di libertà di Driver, un sistema di punteggio simile a quello di Nights e una costruzione grafica spinta fino al limite dell'allora immaginabile. In realtà: tante parole per descrivere un gioco che, semplicemente, si rivelava divertente in maniera pericolosa. Attenzione a rubinetti aperti, pentole sul fuoco, appuntamenti da rispettare, perché Crazy Taxi ha ancora il potere di assorbirvi e di distrarvi dal mondo reale.
E, in effetti, il suo segreto consisteva proprio in questo. Forse per la prima volta la costruzione di una realtà alternativa risultava pienamente convincente e la città in cui il vostro taxi corre, salta, rimbalza da un cliente a un altro riusciva a sembrare una città vera, o perlomeno quella città onirica che voi avete da sempre sognato nei vostri deliri videoludici. In questa pseudo San Francisco alternativa tutto è possibile. Anche la frantumazione di un tabù assoluto (fregarsene del traffico, degli incroci, dei traumi cranici dei pedoni, perché tanto qui non accade nulla di tragico, nemmeno quando si passa a 200 Km/h in mezzo al parco pubblico) può avvenire senza alcuna forzatura apparente. In questo suo prendere una situazione, ribaltarla e considerarne solo gli aspetti esilaranti Crazy Taxi era geniale e indicava la direzione verso cui si sarebbero mossi molti giochi di guida.
Shrapnel ha però ragione quando dice che non sarebbe giusto glissare sulle poche ma disturbanti carenze di Crazy Taxi. I problemi sono essenzialmente due: uno quasi inevitabile e un altro quasi imperdonabile. Il primo riguarda la ovvia mancanza di longevità di un prodotto destinato a un consumo rapido in sala giochi. La versione per Dreamcast (Sega e Hitmaker, 2000) ha comunque il merito di presentare due scenari e una serie di mini-giochi suppletivi (contro l'unica cittadina presente nel coin-op di origine), il che dovrebbe, secondo logica, almeno raddoppiare la sua durata di vita complessiva. Ma le irregolarità dell'aggiornamento (crolli improvvisi del 'frame rate', 'pop-up' e 'draw-in' presenti soprattutto nello scenario assemblato appositamente per la versione Dreamcast) sono troppo evidenti per potere essere ignorate. Fatta una parziale tara all'hype che accompagnava questo ennesimo 'blockbuster', occorrerà però dire che al di là dei suoi bravi difetti Crazy Taxi ha veramente un sapore del tutto particolare, come tutti i super classici Sega: un qualcosa di indefinito che quasi nessuno (solo Namco direi) riusciva a eguagliare.
Quello che, in particolare, porta comunque Crazy Taxi su livelli di eccellenza è la giocabilità, tanto evidente da non essere contestata nemmeno dai suoi detrattori (quanto poi riesca a conservarsi l'entusiasmo iniziale, è questione assolutamente soggettiva). Il meccanismo di gioco è meno lineare di quanto possa apparire in partenza: si tratta di trasportare vari tipi di passeggeri (preti, casalinghe, turisti, freak, vecchiette ecc.) da un punto a un altro della città, entro determinati tempi e con conseguenti punteggi che variano anche in base all'abilità dimostrata in una serie di circostanze (salti su dossi e da pedane, sorpassi rischiosi, applicazione di tecniche particolari di guida e la combinazione eventuale di tutti questi fattori). I clienti potenziali sono evidenziati da cerchi di vari colori a seconda della distanza da percorrere e del relativo guadagno ottenibile. La loro distribuzione lungo le strade è solo parzialmente casuale, nel senso che può mutare solamente se si ha l'accortezza di non scegliere sempre gli stessi clienti: in questo modo cambia in parte la sequenza delle destinazioni raggiungibili e, di conseguenza, si possono anche incontrare nuovi personaggi.
Tutto questo, se da una parte può rendere simili le riprese del gioco, da un'altra permette una totale pianificazione dei propri spostamenti da un quartiere a un altro, per ottenere sempre nuovi record (un po' come in Nights). In ogni caso, grazie a uno specifico 'cheat mode' è possibile variare completamente sia i punti di partenza all'interno delle città, sia la sequenza di evidenziazione dei clienti. Allo stesso modo il controllo sulle auto sembra inizialmente poco articolato, mentre invece (come si può immediatamente notare esaminando la sezione dedicata ai mini-giochi) le varianti del modello di guida sono molte e anche importanti ai fini del punteggio finale. Ai quattro taxi, più o meno veloci e maneggevoli (a cui corrispondono altrettanti conducenti), si andrà poi ad aggiungere un quinto veicolo (un risciò o qualcosa di simile) che si dimostra, tra l'altro, particolarmente agile e piacevole da guidare. A 60 frame al secondo, purtroppo non costanti, il paesaggio che scorre intorno al vostro taxi era ed è ancora un qualcosa che deve essere visto per crederci: il dettaglio è così ridondante che l'impressione finale è quella di trovarsi di fronte a qualcosa che vive di vita propria (fatto tanto più rimarchevole se consideriamo l'estensione delle due città presenti e l'anzianità del progetto). Per finire, il sonoro rappresenta la ciliegia sulla torta: i campionamenti vocali sono tecnicamente ottimi (anche se potevano essere più numerosi) mentre gli Offspring e i Bad Religion si dimostrano al massimo della forma.
Tra tramonto dei coin-op, discussioni sulle vere potenzialità del Dreamcast, invecchiamento del progetto e nostalgie varie, arrivare a una valutazione attuale del primo Crazy Taxi non è stato comunque facile. C'è chi considera intollerabile la sua estrema leggerezza e chi lo apprezza proprio per questo, chi reputa imperdonabili le sue deficienze tecniche e chi le ritiene trascurabili. Non posso quindi che parlare solo per me (come è alla fine ovvio). E, per quanto mi riguarda, le ore di divertimento che Crazy Taxi mi ha procurato bastano per considerarlo come uno dei protagonisti più gradevoli delle mie serate nostalgiche, in assoluto. Per quante serate poi potrà ancora esserlo non saprei dire. Ma evidentemente, come diceva Einstein, tempo e longevità possono davvero essere fattori relativi.
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