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Sega Dreamcast
SoulCalibur
Namco | Teruaki Konishi | Hiroaki Yotoriyama | Shinobu Nimura | Shizuka Matsuda | Yasuhiro Noguchi | Koh Onda
26 02 2025

Se è vero, come si dice, che Dio è nei particolari allora mi aspetterei di trovare nella confezione di SoulCalibur la Bibbia al posto del solito manuale. Mi spiego: raramente mi è capitato di assistere a un tale dispiegamento d'energie finalizzato alla cura del dettaglio. Non parlo dei soliti 'pettorali' che ballonzolano o delle texture precisamente appiccicate sui poligoni (anche se, in questo caso, tali peculiarità sono entrambe ineccepibili), ma della gran cura profusa nel design di tutto l'insieme, non solo dei personaggi. Devo dire, però, che l'approccio con SoulCalibur non è stato uno dei più felici, a partire dalla grafica 'loffia' della confezione fino alla mancanza di un'introduzione renderizzata all'altezza della sigla del primo episodio della saga. Tuttavia il gioco è riuscito a farsi perdonare subito queste piccolezze grazie all'immediata giocabilità che lo contraddistingue. È proprio intorno alla giocabilità che ruota infatti tutta l'appetibilità di SoulCalibur: i comandi, per chi ha giocato già a Soul Blade, sono familiari e molto 'approssimabili' (nel senso che non è difficile realizzare le varie combinazioni di tasti, anche se sono intricate). Un piccolo appunto va mosso nei confronti del controller del Dreamcast, che non brilla certo per comodità, anche se a livello di soddisfazione personale il gioco riesce a compensare egregiamente il torpore che può assalire le mani dopo aver impugnato a lungo il succitato joypad.

Sotto il profilo della spettacolarità, il gioco non può che lasciare basiti: l'alta qualità della grafica e la naturalezza dei movimenti dei vari personaggi fanno sembrare non solo verosimile, ma anche quasi naturale che i mostri e i bellocci sullo schermo si azzuffino per rafforzare la loro anima (anche se sarebbe più facile praticare un po' di meditazione). Abbiamo quindi un 'motion capture' perfetto, abbondanti quantità di poligoni texturizzati ad arte, un 'character design' fenomenale, giocabilità e longevità fuori del comune. Perciò se dovessimo giudicare il gioco in base ai parametri classici ci ritroveremmo a dargli il massimo dei voti per grafica, giocabilità, longevità, spettacolarità; qualcosa in meno per la musica (almeno a mio giudizio: nel primo episodio era evocativa e innovativa, adesso solo noiosa - ma è un'opinione del tutto personale) e per gli effetti sonori (il calpestio campionato dei passi è 'pedante'). Quello che conta, però, è l'impatto che il gioco ha subito su tutti, anche sui giocatori più smaliziati, avvezzi alle diavolerie del "rutilante mondo dei videogiochi": nel momento in cui ci si trova davanti a un titolo del calibro di SoulCalibur (perdonatemi lo stupido gioco di parole: non era mia intenzione), non si può fare a meno di chiamare qualcuno degli amici o dei congiunti più prossimi a contemplare le meraviglie di cotanta espressione di tecnologia ludica. Esempio: "Mamma, guarda: adesso gli levo il bastone, ce lo impalo e poi lo uso per fargli la croce sulla tomba".

Gli escamotage introdotti per prolungare la vita del gioco sono davvero efficaci: le missioni da compiere per guadagnare punti e acquistare immagini nella Art Gallery hanno come secondo fine il conseguimento di scenari e personaggi segreti. Il Nirvana, tuttavia, lo si raggiunge nel momento in cui si ha la possibilità di picchiare virtualmente un amico: infliggere colpi e umiliazioni al malcapitato avventore sarà davvero uno spasso. Abituatevi però all'idea di poter incontrare qualcuno che vi riservi un trattamento degno delle scene di Grattachecca e Fichetto. Come dice Mark Knopfler dei Dire Straits: "La vita è una corsa in macchina: a volte sei il parabrezza, a volte l'insetto".

[LH3CT]


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