Coleco ColecoVision
Smurf Rescue
Coleco
08 01 2010
Le case altrui, ai tempi dell'infanzia, erano templi di segreti indecifrabili, o semplicemente templi d'alterità: luoghi dalle forme, dai colori, dagli odori sconosciuti. Nei pomeriggi d'inverno, gli amichetti ci invitavano a casa loro per passare il pomeriggio a videogiocare, e questo pretesto era il passepartout che permetteva di accedere a queste realtà alternative, così diverse da casa nostra. Il tubo catodico del televisore, radioattivo e scintillante, era l'idolo d'oro attorno al quale vorticava questo brulicare di sensazioni nuove.
Giocavo a Smurf Rescue a casa del mio amico M.F., unico detentore locale del ColecoVision (e poi unico detentore locale dell'MSX: parenti illuminati, sebbene inconsapevoli, sceglievano per lui regali eccentrici). Per quanto assorbito dall'incredibile esperienza audiovisiva garantita dal gioco, non potevo non lasciare che in essa si insinuassero i profumi, per me inediti, della cucina della madre di M.F.. Oppure i commenti del padre, un uomo intelligente, curioso osservatore del nuovo mezzo di comunicazione, mai orientato a quella detrazione aprioristica di troppi altri adulti (es. "Ma perché vi state a rincretinire davanti a quella roba?"). Tornava a casa dal lavoro, un po' guardava, un po' faceva le sue cose. L'atmosfera era così intima, così familiare che esserne parte, siccome era un'altrui familiarità, era stranissimo, ma mai provavo alcun segno di refrattarietà, e anzi, prima di cena, quando i miei genitori mi venivano a prendere, ero mosso da un dolce scoramento, come se mi si stesse portando via da un'adozione lunga un pomeriggio appena.
Tra le tante cartucce del ColecoVision, Smurf Rescue era quella più consona all'atmosfera di quei pomeriggi. Era un videogioco, d'accordo, ma non aveva alcuna connotazione aliena: diamine, erano i Puffi, la grande moda delle stagioni televisive appena trascorse, il degno coronamento di un brand che eravamo, in quarta elementare, pronti a sacrificare nel nome di nuovi eroi dai connotati più epici, maturi. Eppure quel gioco non mancava di epicità, anzi, esso era pervaso di un pathos quasi fuori scala rispetto agli intenti ben più scanzonati, a tratti satirici, del fumetto di Peyo. Salvare la Puffetta, che diamine, un'impresa mica da nulla! In termini di sistema di controllo, si era già una spanna sopra Pitfall!, l'evidente ispiratore. La possibilità di fare un doppio salto per svettare più in alto, la varietà grafica (quattro scenari completamente diversi!), la struttura delle singole schermate la cui ossatura, negli scenari della campagna e della grotta, veniva addirittura reinventata di volta in volta piazzando una serie di elementi fissi secondo parametri casuali. Gli avversari apparentemente innocui, ma sempre pronti a diventare minacciosi quando meno te l'aspetti. I differenti livelli di difficoltà, mai troppo lodata caratteristica di default dei titoli made in Coleco. E la musica, una gloriosa polifonia, in grado di passare dalla Pastorale di Beethoven a 'Simple Gifts', un brano di musica popolare poco noto fuori dagli States, ma dall'universale orecchiabilità. E, ancora, quella palette delicata, perfetta per tratteggiare un'atmosfera sì bucolica, ma anche fumettosa. E la velocità, quel salto brioso, che distaccava il gioco da tanti altri titoli analoghi. Momento epifanico: il teschio dell'ultima schermata. Il miglior teschio della storia dei videogiochi è datato 1982. O forse è solo che ai bambini piacciono da matti, i teschi.
Poco contava che il Gargamella evocato nel titolo non ci fosse, che il Puffo disponibile fosse solo uno (niente Quattrocchi, accidenti!), che la Puffetta non venisse mai veramente toccata (la sequenza finale si fermava un attimo prima del prevedibile bacio), che l'esperienza fosse ripetitiva, ma senza quella piacevolezza da mantra propria di altri titoli dell'epoca. L'insoddisfazione è una roba da adulti. A un bambino dagli un amico, un ColecoVision, i Puffi e una casa accogliente, e lui sarà in grado di costruirsi un fuggente attimo in grado di trascendere lo spazio e il tempo, fino a diventare un ricordo indelebile.
Nota: il titolo a video è solo 'Smurf Rescue', quello sulla cartuccia e sulla rispettiva confezione 'Smurf: Rescue in Gargamel's Castle'. Forse il titolo più lungo di un videogame, all'epoca.
[Bisboch]