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NO1 Imbarcato in tenera età su un cargo battente bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti contatti con numerose popolazioni indigene legate alle tradizioni, una smodata passione per l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming, in particolare se targato Sega...

Sony PlayStation
Wipeout
Psygnosis | Nick Burcombe | David Rose | Rob Smith | Jason Denton | Stewart Sockett | John White | Nicky Carus-Wescott | Ian Hetherington | Jonathan Ellis
26 06 2022

Quando una cosa è troppo bella per essere vera probabilmente non è vera. Questa citazione da Bastardi Senza Gloria non si sarebbe però potuta applicare a Wipeout, come i titolari delle prime PlayStation PAL avrebbero potuto testimoniare. Dopo una breve gestazione (teniamo conto che Psygnosis ricevette l'hardware su cui lavorare solo nella tarda primavera del 1994 e che il gioco uscì a settembre 95), scandita da press release euforiche e immagini in anteprima a cui nessuno voleva credere, l'effetto provocato dalla visione diretta era sempre lo stesso: stupefazione con caduta della mandibola conseguente. Termine abusato, ma stavolta rispondente in pieno alla realtà. D'altro canto mettetevi nei panni di chi passava dagli sprite dei 16 bit a questa roba. Come passare direttamente dal cinema muto a 2001 Odissea nello Spazio.

Introduzione renderizzata da urlo, musiche indimenticabili composte da Orbital, Tim Wright, Chemical Brothers e Leftfield, grafica quasi metafisica, scorrimento liscio come l'olio, effetti luce inediti, esplosioni da film, gameplay fantastico, sette piste geniali come tracciato e fondali (quella con il discesone e i Buddha molti ancora se la sognano), armi a non finire, battaglie a sportellate e una sensazione di velocità fino ad allora mai raggiunta. Unico neo, a parte la mancanza di un '2-player mode' plausibile: ad alcuni sembrava troppo difficile. Ma per un gioco che voleva ribaltare tutto il già visto (suoi padri spirituali erano F-Zero e in parte Mario Kart, racer leggendari e guarda caso nintendiani, che però facevano la figura dei fossili nei confronti di Wipeout) era naturale rivoluzionare anche il sistema di guida, basandosi su quello di futuristici hovercraft sospesi a un metro da terra. Tra mancanza di contatto col terreno, angolazione variabile dell'avantreno, nuovo controller, collisioni che non perdonavano, frenate e curve impossibili affidate agli aerofreni la sensazione era in effetti quella di una reattività giocata sui millimetri, ma una volta prese le misure il più si superava con qualche ora di pratica. E poi, come si dice, quando il gioco si fa duro sono i duri che cominciano a giocare.

Il meccanismo di gara, con tornei in cui è necessario arrivare nelle prime tre posizioni ma con soli otto concorrenti (non è raro però essere colpiti da un missile proprio quando si pensa di avere vinto), può rendere le cose ancora più ostiche per i giocatori casuali, ma regala qualcosa che va al di là della fusione tra sonoro e immagini per cui Wipeout è famoso ancora oggi. Difatti le gare sono spesso tirate fino all'ultimo metro e la richiesta di concentrazione è così alta da far dimenticare qualsiasi altra cosa. I sintomi legati alla presenza di un capolavoro ci sono insomma tutti: salivazione azzerata, perdita di cognizione del tempo e sindrome da "Ancora una partita e poi basta!", manco si trattasse di una droga di nuovo tipo. Non per niente proprio in quel periodo si cominciò a parlare in modo scientifico di dipendenza dei ragazzi dai videogiochi. Cosa probabilmente verosimile, ma d'altro canto la quantità di titoli eccellenti usciti negli anni di esordio dei 32 bit non è stata più eguagliata. Al di là della dipendenza psicologica, smettere di giocare quando ci si ritrova con Virtua Fighter, Ridge Racer, Tekken, Daytona, Virtua Cop, Sega Rally o Wipeout è difficile, forse giustamente.

[NO1]


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