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NO1 Imbarcato in tenera età su un cargo battente bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti contatti con numerose popolazioni indigene legate alle tradizioni, una smodata passione per l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming, in particolare se targato Sega...

Sega Mega CD
Dungeon Master II: Skullkeep
JVC | Software Heaven | FTL Games
13 12 2015

Dungeon Master può davvero essere definito un classico: è proprio lui che nel 1987 ha codificato meccanismi e stile dei giochi di ruolo, così come li abbiamo conosciuti per interi decenni. La ricetta ora appare anche troppo semplice, proprio perché reiterata all'infinito e perché francamente ripresa pari pari da un altro classico non certo elettronico come il vecchio Dungeons & Dragons da tavolo. Prendete qualche personaggio di estrazione medioevale (uscito da un romanzo di Tolkien o da qualche terribile imitazione fantasy), piazzate il team dentro un labirinto pieno di corridoi, ostacoli, enigmi, oggetti da ritrovare e mostri affamati, fatelo vagare alla continua ricerca della giusta via da prendere e magari aggiungete un altro ingrediente tradizionale come l'inquadratura tridimensionale, come se il giocatore venisse calato in prima persona all'interno del dungeon. Con le dovute varianti possiamo riferirci a migliaia di giochi prodotti negli anni successivi.

Quando venne lanciato il seguito (Dungeon Master II è del 1993 e questa versione per Mega CD è dell'anno dopo) una parte della stampa specializzata si scatenò: troppo pochi i cambiamenti a fronte della rapida evoluzione degli altri videogiochi. Sembrava insomma che il Dungeon Master si fosse perso all'interno del suo stesso labirinto per emergerne vecchio, grigio e assolutamente fuori posto. La miscela di eventi su schermo, combattimenti a turni ma in 'real time', uso della magia e sistema di controllo preistorico veniva ripresa in toto e a salvarne la dignità non bastava il fatto che fosse stata copiata e clonata da molti imitatori, fino alla nausea. A parte qualche dettaglio, insomma, tutto appariva e si giocava come prima. Doom nel frattempo aveva però sdoganato nuovi mondi, simili ma più moderni, e la reazione di un pubblico ormai abituato ad altri ritmi e quella di una critica smemorata non poteva che essere negativa. Oggi, a distanza di trent'anni dall'esordio originale, non ci scandalizziamo più di tanto: i primi Dungeon Master appaiono e sono reperti archeologici e come tali devono essere trattati, nel bene e nel male, senza ricorrere a impossibili paragoni.

Anche perché, una volta fatta la tara ai fattori di disturbo, Dungeon Master II si rivela gioco profondo e complesso, a parte ogni importanza storica. La trama è in linea con quella di quasi tutti i role playing game, con la consueta impersonificazione del male a minacciare il mondo, il tradizionale esercito di seguaci a prepararne il ritorno e la solita fortezza da esplorare per distruggere i macchinari deputati a tale missione (e in aggiunta c'è una particolare profondità nella gestione dei personaggi e delle risorse, tipica di questo filone di RPG). Rispetto al primo episodio il team di sviluppo, con alla testa il produttore originale Wayne Holder, aveva comunque avuto il buon gusto di inserire tratti esterni al dungeon principale, ambientazioni più vaste, un livello di difficoltà più elevato, un maggior numero di botteghe e di oggetti, nuovi mostri meglio disegnati e una impostazione grafica più raffinata, con più colori sullo schermo e uno scorrimento degli scenari meno stentato di prima. Almeno per quanto riguarda la versione per PC, perché questa per Mega CD non viene graziata da tali e tante correzioni: nonostante la classica riduzione dello schermo il frame rate appare difatti imbarazzante, fino ad affliggere animazioni, movimenti e azioni di gioco, e di più colori non se ne parla, con buona pace della spettacolo. Ma è soprattutto la volontà di replicare il sistema di controllo originale, quello basato sul mouse e sulla tastiera del PC, a dare la mazzata finale alle buone intenzioni.

Mettendo in conto che nessuno ha mai visto in giro un mouse Sega, oggetto mitologico già ai tempi, resta infatti solo la possibilità di ricorrere ai tasti e alla croce direzionale del joypad a tre o sei pulsanti, configurabili a piacere, ma sempre con scarsi risultati. Fatto ineluttabile, che spesso ha reso atroci le conversioni da PC a console, ma che in questo caso si rivela quasi impossibile da digerire. Tra il movimento a scatti tipico dei 'corridor game' anni ottanta, il ritardo nei comandi, l'organizzazione illogica degli stessi, la confusione tra spostamenti in avanti e di lato e i menu inutilmente scomodi, il gameplay diventa talmente ostico da scoraggiare il più accanito dei fan di Dungeon Master, Eye of the Beholder e similari, o magari anche quello, occasionalmente coinvolto, di Dungeons & Dragons. Alla fine in qualche modo ci si arrangia, per esempio impostando comandi a raffica, ma gli effetti sono spesso letali, con attacchi a vuoto e fughe interrotte contro qualche muro, il che - anche a causa di un'intelligenza artificiale degli avversari particolarmente evoluta - rappresenta spesso la fine dell'avventura. Insomma: la solita conversione distratta finisce per compromettere un gioco potenzialmente importante, soprattutto all'interno di un catalogo così povero di uscite analoghe.

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