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NO1 Imbarcato in tenera età su un cargo battente bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti contatti con numerose popolazioni indigene legate alle tradizioni, una smodata passione per l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming, in particolare se targato Sega...

Commodore Amiga
Indiana Jones and the Fate of Atlantis
Lucas | Hal Barwood | Noah Falstein
05 11 2012

Kvesti penedetti nazisti. Ebbene sì, sono ancora alla ricerca dell'arma definitiva, l'Arca dell'Alleanza o il Sacro Graal di turno insomma, per potere vincere la guerra e conquistare il mondo, manco fossero dei Nibelunghi. In questo caso l'impresa è ancora più disperata perché la sorgente dell'agognata energia pare sia da attribuire a un'antica civiltà, e questa sarebbe già questione complicata, ma per di più è da ricondurre a una località che oltre a essere remota è ben lungi dall'essere considerata reale. Insomma: parliamo di Atlantide, e nessuno sa nemmeno dove cavolo cercarla. Nessuno salvo Indiana Jones, ovviamente, e sta a lui arrivarci per primo, lottare per far trionfare il bene e salvare la nostra civiltà (l'istante fatale, quello dell'Euro, arriverà in un secondo momento).

Il nostro archeologo favorito, reduce dai fasti dei primi film di Spielberg, si troverà dunque lungo la strada per Atlantide, stavolta coadiuvato da una sua ex-collega di studi di nome Sophia. Così, strada facendo tra Monte Carlo, New York, le Azzorre, il Nord Africa e Creta, tra inseguimenti in auto, sottomarini e palloni aerostatici, la trama si dipana come in qualsiasi altro film di Indy. Solo che in questo caso (Indiana Jones and the Fate of Atlantis per Amiga esce a cavallo tra il 1992 e il 1993 e quindi arriva abbastanza dopo The Last Crusade e molto prima di The Kingdom of the Crystall Skull) il film seminale non c'era e così gli sviluppatori, con gli ideatori Hal Barwood e Noah Falstein in prima fila, si erano inventati una trama inedita, probabilmente divertendosi moltissimo, sulla base dei meccanismi di gioco made in LucasArts. Come da copione avremo quindi una serie di situazioni e avvenimenti raffigurati nella metà superiore dello schermo e i tradizionali strumenti di ricerca sotto forma di simboli e finestre nella metà inferiore, in stile Monkey Island. Nel mezzo, come sempre succedeva in queste avventure 'point and click', non c'è poi molta azione: l'unica, salvo casi legati a condizioni particolari, consiste nello spostare un cursore per interagire con i personaggi presenti, essenzialmente per ottenere risposte e indizi, oppure per esplorare nello stesso modo i vari ambienti, esaminando particolari, oggetti o quant'altro (spesso perfidamente imboscati).

Trattasi in pratica di una sequenza continua di enigmi da risolvere, pena il mancato procedere dell'avventura, come da scuola classica. Solo che qui la progressione va un po' a scatti, tra momenti complicati, che magari possono richiedere intere giornate di ripensamenti, e altri molto meno oscuri. Ma bando alle ciance: Indiana Jones and the Fate of Atlantis è un mito nel suo genere, un gioco che poteva permettersi di avere come protagonista un'icona del cinema e che vantava una produzione messa in piedi dagli stessi autori che quella icona avevano creato. Oggi pare incredibile, ma ai tempi il semplice annuncio di un gioco di questo calibro era in grado di suscitare un'attesa superiore a quella di un film: d'altro canto la software house di George Lucas si era già guadagnata una reputazione solidissima e in quegli anni avrebbe prodotto una lunga serie di classici inimitabili (non è un modo di dire: per i giochi così impostati quello è stato il momento d'oro, mai più replicato). La stessa realizzazione era da kolossal hollywoodiano: lanciata proprio quando il CD-ROM stava invadendo i mercati, la versione originale per PC era stata tra l'altro aggiornata in seguito per risultare così una delle prime con dialoghi recitati, quasi a ribadirne la natura cinematografica. Questa conversione per Amiga, per tutti gli altri versi eccellente, era spalmata su ben undici floppy disk, il che costringeva a continui salti da un disco all'altro, ma non permetteva comunque la riproduzione fedele di un audio così sofisticato (le musiche originali non avevano però subito cambiamenti: eccezionali anche quelle).

Anche la portata della storia era da kolossal, con una durata da record, il che andava a compensare una scorrevolezza eccessiva del gameplay. Tutto il resto viaggiava su livelli superbi, a cominciare dalla grafica da cartoon molto vicina agli standard di Monkey Island 2 ma ancora più dettagliata, per finire con l'organizzazione dei menu, ultra rodata ma migliorata anche lei, tanto da rendere inutile per chiunque la lettura del libretto di istruzioni. Come ciliegina, a correggere la solita scarsa longevità di questi giochi, i programmatori LucasArts (qui affiancati in Europa da U.S. Gold) si erano poi inventati un punteggio IQ sulla base delle scoperte effettuate e la possibilità di confrontarsi con l'avventura in tre modi diversi: da soli, con la collaborazione della Sophia Hapgood di cui sopra o affrontando il tutto in maniera muscolare, in una sorta di variante action un po' scomoda. Gioco dall'atmosfera esemplare, praticamente perfetto in ogni settore, Indiana Jones and the Fate of Atlantis alla fine non si è limitato a essere un caposaldo del suo genere, ma è riuscito anche a portare forse per la prima volta i videogiochi sullo stesso piano di dignità di un romanzo o di un film (sforzo produttivo e popolarità qui pesano di più rispetto ai predecessori). Peccato solo che negli anni a venire la sua eredità sia stata ignorata quasi del tutto.

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