A.Rea. 21 : retrogaming e videogiochi dal 1996!
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NO1 Imbarcato in tenera età su un cargo battente bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti contatti con numerose popolazioni indigene legate alle tradizioni, una smodata passione per l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming, in particolare se targato Sega...

Commodore Amiga
Dreamweb
Empire | Creative Reality | Neil Dodwell | David Dew
08 07 2012

In termini di puro richiamo estetico Dreamweb non è un granché. Con una inquadratura dall'alto, quasi da telecamera fissata al soffitto, e con elementi di contorno a occupare gran parte dello schermo, lasciandone al vivo dell'azione non più di un terzo, l'aspetto è quello di un gioco di ruolo di qualche anno prima. Ma la vera forza di Dreamweb (1994, Empire) bisogna andarla a cercare nella sua trama contorta ma accessibile, nella caratterizzazione dei personaggi, nel suo approccio cinematografico, nella qualità della sceneggiatura (se di vera sceneggiatura si può parlare in un videogioco).

E nel suo realismo (se di realismo si può parlare in un videogioco). Come in Snatcher, tutto sommato suo contemporaneo e ugualmente impiantato come un'avventura grafica, qui di violenza e di sesso gratuiti ce ne sono abbastanza da fargli guadagnare un'etichetta di vietato ai minori. Probabilmente usurpata, perché almeno il sesso è limitato a una sola scena, ma sufficiente a procurargli una bella pubblicità indiretta. Ambientato in un mondo in cui qualcosa è andato storto, un po' come nel nostro, Dreamweb vira però verso la fantascienza e tratta di un omonimo controllo inconscio che controlla anche i sogni, operato da una rete centrale, stile Big Brother. In particolare il protagonista, Ryan, ha dei flash che lo tormentano: non si sa però se questi ricordi derivino da fatti effettivamente accaduti o da semplici incubi (e anche questi non si sa se siano stati manipolati o no). A partire da una notte passata con la sua compagna e senza soldi, armi o informazioni chiare, Ryan avrà comunque il compito ingrato di rintracciare ed eliminare sette personaggi, etichettati come appartenenti al male ed evidentemente intenzionati a sovvertire l'ordine costituito.

Il nostro eroe ha però le idee talmente confuse da arrivare a fissare gli avvenimenti della sua vita su un diario, regolarmente consultato ma non molto chiaro, un po' come succedeva nell'ancora più caotico Memento, cult movie uscito pochi anni più tardi. Per di più, come nei classici noir degli anni quaranta, la trama non è lineare e può essere complicata da un corso delle indagini lasciato alla capacità del giocatore: esistono ad esempio aree di gioco di cui non si arriva nemmeno a conoscere l'esistenza, e questo solo perché durante una esplorazione o un colloquio un particolare grafico (p.es. una keycard) non viene rintracciato, o perché un accadimento secondario, della durata di un nanosecondo, non viene rilevato. Di conseguenza, tra dialoghi complessi, un percorso di gioco non lineare, location cupe, continui ricorsi alla rete informatica, armi e chiavi da rintracciare, non è poi così difficile ritrovarsi bloccati a chiedersi cosa diavolo fare per aprire una porta o prendere un ascensore (e allora la mancata linearità può anche diventare una benedizione). Il punto è che la storia, abbellita da una colonna sonora adeguata e da una atmosfera a metà tra il piovoso Blade Runner e il pulp sanguinolento di Tarantino, è originale e coinvolgente e così si va avanti con sparatorie splatter, indagini ed enigmi, alla faccia di alcune contraddizioni (come le esplorazioni minuziose accoppiate a una grafica in piccola scala, nonostante la possibilità di ricorrere a uno zoom particolarmente utile).

Chiaro che il team di sviluppo, tradizionalmente basato su una semplice accoppiata di programmatore & grafico poco più che adolescenti, non era quello di una maxi produzione con milioni di dollari alle spalle: come ai vecchi tempi, Neil Dodwell e David Dew hanno fatto quasi tutto da soli e come ai vecchi tempi questo ha richiesto ben quattro anni di ripensamenti e rifiniture, ma anche di ostacoli tecnici difficilmente superabili. Il progetto Dreamweb, insomma, sembrava già allora leggermente anacronistico, col suo essere molto british, molto Amiga, molto artigianale, in un mondo che stava per virare in tutt'altra direzione. Per quelli interessati al genere 'adventure / point and click', codificato da capisaldi come Monkey Island e Indiana Jones, questo Dreamweb rappresenta però un piccolo classico, originale nella sua mancanza di una trama rigida e fra i meglio assemblati per soddisfare i gusti di un pubblico stufo di funghetti, caramelle e fiorellini.

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